Porcini e vino, eccellenze dei Castelli Romani

Porcini e vino, eccellenze dei Castelli Romani

“Io con rapimento e con gioia mi trovo sul suolo classico, dove il passato e ilpresente mi parlano conforte voce seduttrice”

J.W. Goethe

La frase che Goethe ha lasciato alla storia dimostra quanto questo scrittore rimase affascinato dal quel territorio che viene definito Castelli Romani, un insieme di diciassette paesi situati nelle vicinanze di Roma. Da sempre considerati, anche dagli antichi abitanti della Capitale, luoghi di rifugio dalla canicola estiva, oggi sono una fonte inesauribile di storia e tradizioni. Alcuni fanno risalire l’origine del nome al quattordicesimo secolo, quando degli abitanti di Roma, per sfuggire alle difficoltà economiche e politiche create dall’esilio papale ad Avignone, trovarono nei castelli delle grandi famiglie feudali qui edificati un sicuro rifugio. Savelli, Orsini, Colonna sono solo alcuni cognomi dei proprietari di quei castelli, che poi nel tempo hanno contribuito a tramandare la storia di paesi come Castel Gandolfo, Marino e Monte Porzio Catone.

A pochi chilometri dalla capitale, lasciandoci la via Appia alle spalle e proseguendo per via Lata, troviamo Lariano. Posto alle pendici delmonteAlgidus, alla sommità del quale al tempo dell’Impero Romano sorgeva un avamposto a difesa di Roma, Lariano è sempre stato noto nella storia per le sue bellezze, tanto da esseredecantato da Ovidio a Carducci. Tra i monumenti più apprezzati di questo paese, oltre al castello, sicuramente si può annoverare la chiesa di San Silvestro, probabilmente edificata sui resti del tempio che i Romani dedicarono a Giano. Lariano è anche teatro di un ghiotto evento, quest’anno giunto alla sua ventesima edizione: la sagra del Fungo Porcino che come consuetudine si svolge verso la metà del mese di settembre. Per l’occasione abbiamo contattato Bruno Abbaffati, presidente dell’associazione “Porcino pane e vino”, il quale, con un pizzico di sano orgoglio, ha rivendicato la paternità della sagra: “L’idea mi è venuta, quando, nel 1991, ero assessore al Comune di Lariano e ho pensato che un evento che facesse affluire nel nostro paese una notevole quantità di visitatori avrebbe senza dubbio giovato all’economia generale, e così fu ed è tuttora”. Ricordiamo che questa manifestazione dura dieci giorni e può contare su un’affluenza di visitatori che supera le ottantamila unità e che in pochi giorni consuma circa duecento quintali di Boletus,anche sotto forma di piatti già preparati.

“Ogni anno registriamo un numero crescente di visitatori – prosegue il presidente -, anche se in quest’ultima abbiamo riscontrato una spesa pro capite inferiore alle scorse edizioni, senza dubbio conseguenza della crisi economica che stiamo vivendo”. Grazie alla sua posizione geografica e al fatto di essere circondato da fitti castagneti, Lariano rappresenta uno dei maggiori paesi produttori di funghi porcini, alimento leader delle nostre fantasie culinarie. Il Boletus edulis è sicuramente uno dei porcini più pregiati e predilige crescere nelle radure soleggiate dei boschi montani di latifoglie. Nel pieno della

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sua maturazione ha un cappello notevolmente esteso e carnoso, ma nella prima fase di sviluppo è il gambo ad avere la dimensione maggiore. Generalmente il cappello è di colore bruno chiaro con il bordo leggermente più sfumato, mentre il gambo, dalla base a forma di bulbo, assume poi una forma cilindrica di colore nocciola chiaro.

La sua polpa, generalmente chiara, è soda e compatta, dal sapore gradevole e dal profumo intenso. A fine estate, con le prime piogge di settembre, si creano le condizioni ideali per lo sviluppo di questo fungo, la cui raccolta può protrarsi fino alla fine di ottobre, quando i primi freddi ne inibiscono la crescita; questo fa sì che della sua prelibatezza si possa fruire solo per questo piccolo, ma intenso, periodo dell’anno. Sarà bene ricordare che la micologia è una branca universitaria, quindi sconsigliamo a tutti il “fai da te”. Raccomandiamo comunque a chi intenda cimentarsi in questo gratificante passatempo e voglia evitare seri problemi di salute, di far verificare il proprio raccolto all’ufficio competente della Asl prima di consumarlo. I modi di proporlo in cucina sono infiniti, ma i puristi lo prediligono crudo, in insalata, oppure cotto alla griglia con solo un filo d’olio extravergine d’oliva, per poter apprezzare al meglio la sua prelibatezza. Tra i ristoranti che in questa zona propongono preparazioni con il fungo come protagonista, noi abbiamo scelto quello che, a nostro giudizio, per tradizione e storia lo interpreta nel migliore dei modi:

Benito al Bosco è situato in una splendida location alle pendici del monte Artemisio, immerso nel verde di un bosco di castagni, a quaranta chilometri da Roma.

Dai suoi seicento metri d’altezza si può godere la vista dei monti Lepini fino agli scogli del Circeo e l’incantevole panorama che abbraccia la Capitale. La sua cucina era molto apprezzata da Ugo Tognazzi, come testimoniano le molte fotografie appese alle pareti dell’ingresso, al quale, in qualità   di assiduo frequentatore, è stata dedicata una sala. Sempre sotto l’attento controllo di Benito e di suo figlio Roberto, il ristorante ha sviluppato una cucina che è sintesi di tradizione e innovazione, con l’utilizzo di ingredienti di primissima qualità. Pregevole è la carta di vini, curata personalmente da Roberto, sommelier di lungo corso con il quale abbiamo scelto la cantina che sarà nostra compagna di viaggio per questa entusiasmante escursione culinaria: l’azienda vinicola Colle Picchioni di Paola e Armando Di Mauro. Appena usciti dal Grande Raccordo Anulare, sulla via Appia in direzione Marino, troviamo una stradina che s’inoltra verso l’interno della campagna, un ingresso semplice, senza strutture pompose, una semplice tavoletta di legno con il nome. Questa semplicità nel proporsi rispecchia  pienamente il carattere dei proprietari, persone di stile garbato che si offrono con generosità senza voler apparire.

Porcini e vino, eccellenze dei Castelli RomaniArriviamo in azienda durante una fase di attività intensa da parte di tutto il team, in cui non mancano Armando e il più giovane dei suoi figli Valerio: si lavora all’ampliamento della cantina, con nuovissime cisterne termocondizionate e nuovi impianti di vinificazione. Insomma, grandi investimenti in un momento di crisi quando tante aziende hanno molto vino a stock e pochi liquidi. Armando non ci lascia concludere e afferma: “…secondo me durerà ancora un anno, forse due, ma la ripresa ci sarà e noi non possiamo non farci trovare pronti, altrimenti saremo tagliati fuori. Oggi poi, vista la crisi a cui accennavate, è possibile ottenere dalle industrie prezzi migliori e quell’attenzione che in altri momenti non ci avrebbero dato”. In sintesi, l’azienda agricola al primo posto! Molto si è scritto e detto di quest’azienda; pagine di giornali di tutto il mondo hanno speso parole di elogio, premiando spesso quei prodotti che ormai fanno parte della storia della vitivinicoltura del Lazio come il Vigna del Vassallo (oggi semplicemente Il Vassallo) e Le Vignole.

Soprattutto a riempire le colonne delle riviste specializzate c’era lei, Paola Di Mauro, la creatrice dell’azienda Colle Picchioni. Colei che ha contribuito più d’ogni altro a portare l’interesse dei mercati mondiali sull’enol

Porcini e vino, eccellenze dei Castelli Romaniogia laziale, facendo sapere al mondo intero che anche in questa regione era ed è possibile parlare di qualità. Tornando al motivo della nostra visita, ovvero abbinare i vini di Colle Picchioni con dei piatti che avessero come ingrediente principale i funghi porcini, sia Armando che Valerio hanno proposto all’unisono Le Vignole 1998.

Appena versato nei calice ci ha regalato un’esplosione di mineralità, poi fiori e frutti tropicali hanno avvolto le nostre narici, ma il bouquet era in continua e voluzione: ricordi di agrumi dolci e dei loro oli essenziali, della salvia e del le gno di sandalo, accompagnati dalla liquirizia e dallo zenzero, finoad arrivare alla ciliegia in sciroppo. All’assaggio non ha mostrato un attimo di cedimento e il retrolfatto ha confermato quanto il naso ci aveva promesso. Nonostante l’età era ancora vibrante e l’ab biamo messo subitoa confronto con l’annata2008. Qui il colore giallo oro aveva sfumature di oro verde e anche in questo caso il naso era intenso e di bella fusione tra le tonalità di fiori, frutti e ricordi di legno. Camomilla, acacia, ginestra e lavanda si univano alla salvia, ai frutti tropicali e agli agrumi dolci. Anche in questo caso l’assaggio è risultato morbido ed equilibrato, forse lievemente alcolico, ma dotato della giusta acidità e di quella elegante nota minerale che lo caratterizza. È arrivato il momento dei rossi.

 

 

Porcini e vino, eccellenze dei Castelli Romani

 

 

Ci viene versato per primo il Collerosso, un blend di merlot, cesanese e syrah dal colore rosso rubino, un vino che nasce per essere semplice e molto gradevole. Il naso è intenso ci propone ricordi di more, ribes e lamponi, sia freschi che in nettare, che si fondono ai sentori di agrumi e alle speziature di pepe e liquirizia. Lo assaggiamo. Fresco, morbido, di buon corpo e dai tannini sottili; il retrolfatto non delude, ci ripropone esattamente quello che il naso ci ha preannunciato.

 

 

 

 

 

Quando è la volta de Il Vassallo, i ricordi si affollano nella nostra mente, i tanti anni passati dalle prime annate e gli amici che insieme a noi hanno condiviso la gioia nel poter apprezzare questo gioiello che stava per iniziare il suo percorso di vita, venendo timidamente proposto alle luci della ribalta. Composto da merlot e da cabernet, sia sauvignon che franc, è rosso rubino intenso ma sempre brillante e prima dei frutti rossi il naso percepisce le note floreali di violetta e peonia che si fondono poi con le fresche sfumature di agrumi e di toni vegetali. Le speziature di pepe, liquirizia e chiodi di garofano anticipano di poco le tostature di vaniglia che sfumano poi nel cioccolato. La bocca non delude perché è fresca, di giusta sapidità e di buon corpo, con una trama tannica importante ma sottile che ci accompagna a un retrolfatto ampio e intenso di frutti rossi e maturi. La fase si chiude con sentori di liquirizia e cacao. In conclusione, è quello che si definisce un bel bicchiere.Porcini e vino, eccellenze dei Castelli Romani

di Fabio De Raffaele , Luciano Nebbia