Eataly, a Roma la nuova piazza di cibo…e birra

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Attraversando Eataly all’Air Terminal Ostiense di Roma

Per fortuna in Italia non è proprio tutto in stallo o in attesa di ricomposizione. Iniziative incoraggianti sbocciano qua e là, lasciando ben sperare. È questa la sensazione che si prova girando e degustando negli spazi ampi e luminosi di Eataly, all’Air Terminal Ostiense di Roma. A soli dieci mesi dall’inaugurazione è già simpatica consuetudine per lo shopping, nuovo luogo di aggregazione, moderno teatro enogastronomico, un luccicante emporio che apre alla condivisione e alla convivialità. Il successo di un “luogo” è imprevedibile, a volte inspiegabile. Non è una certezza il fatto che sia spettacolare o di tendenza, che offra prodotti buoni, puliti e giusti, ristorazione di qualità e neppure il marketing più efficace ne può garantire la riuscita. La risposta della gente è come la corrente marina, non sempre visibile né prevedibile: improvvisamente si concentrano emozioni e consensi. E il progetto Eataly capitanato dall’imprenditore torinese Oscar Farinetti (ideatore della catena Unieuro) ha pescato felicemente nel ponderabile e nell’imponderabile.

Grandioso nei mezzi ma soprattutto nell’universalità del concept, apparentemente semplice: grandi luoghi dove acquistare, mangiare, studiare cibo italiano di qualità, in sinergica simbiosi con Slow Food. La formula magica è un potente scenario di business su un prodotto tra i più importanti e amati al mondo, il cibo. Un luogo-tempio accessibile a tutti, che vivacizza la produzione nazionale, celebrando la bellezza oltre che la bontà del cibo italiano, che qui diventa interprete di sé stesso in un palcoscenico aperto, agibile, vivo, come una bella piazza, un avveniristico mercato. “Faremo vedere come si fa la pasta fresca, come si disossa un prosciutto, come si produce la birra e come si fila la mozzarella…” racconta Farinetti, innamorato dell’Italia e delle sue eccellenze, consapevole dell’importanza dell’ironia e dell’armonia che “per statuto” regnano ovunque. “In genere chi cerca l’armonia mangia bene…” si legge nel manifesto di Eataly. L’idea nasce nel 2004 e dopo tre anni di elaborazione nasce il primo Eataly a Torino, dopo aver avviato partecipazioni in aziende di produzione di cibi di qualità.

Il marchio ne conta diciannove tra vino, birra, acqua, grappa, carne, bibite, salumi, formaggi, pasta e pasticceria, che forniscono il venticinque per cento dei prodotti venduti nel megastore, il resto viene acquistato da circa duemila altri produttori. In otto anni i negozi diventano diciannove con quello di Roma, il più grande al mondo, inaugurato nel giugno scorso. Nove in Italia, nove in Giappone e uno a New York, famosissimo, ottanta milioni di dollari di fatturato l’anno, tra i luoghi più gettonati a Manhattan. Insomma il brand Eataly al momento conta trentotto attività commerciali e produttive con duemilatrecento collaboratori e un giro d’affari di trecento milioni di euro. Numeri in entusiastica espansione, a breve nasceranno altri negozi in Italia e nel mondo.

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Buono, pulito e giusto dal cibo al mood… Durerà?

Indovinata la scelta scenografica della sede, l’Air Terminal dell’Ostiense, al centro della città, quanto basta, con possibilità di parcheggio. L’imponente costruzione, fabbricata su progetto dell’architetto postmoderno Julio Lafuente per i Mondiali di Calcio del Novanta, era rimasta inutilizzata per venti anni, scivolando nel degrado più totale. La ristrutturazione da parte di Eataly ha riportato in vita l’originale edificio riqualificando al contempo tutta la zona. Ora nei diciassettemila metri quadri suddivisi su quattro piani trovano spazio ventitré luoghi di ristoro, che dispongono di oltre millecinquecento posti, quaranta aree didattiche emozionali che anticipano i reparti vendita con informazioni su storia e caratteristiche di quattordicimila prodotti esposti, più otto aule per corsi, otto spazi di produzione a vista, due sale riunioni, un’area expo e un centro congressi.

Insomma c’è tanto: ristorantini tematici, l’osteria romana con cuochi famosi a rotazione mensile (tanto per capire hanno dato il via i bravissimi Anna Dente dell’Osteria di San Cesareo, Paolo e Caterina del Cacciani, Massimo Pulicati con la moglie Maria Luisa e i figli Marco e Flavio de l’Oste della Bon’Ora), la piadineria dei fratelli Maioli da Cervia, la paninoteca di Alessandro Frassica da Firenze, il gran bar Illy di Trieste e l’officina di tostatura caffè (a vista) dell’azienda piemontese Vergnano, la gelateria alpina Lait e Ugo Alciati da Asti, la cioccolateria Venchi, la pasticceria di Luca Montersino, il corner pizzeria e il pane (lievito madre di trentacinque anni!) cotto a legna, la friggitoria di Pasquale Torrente da Cetara, il mozzarella show di Roberto Battaglia da Caserta, la Birreria artigianale creata da Leonardo Di Vincenzo, Teo Musso e Sam Calagione, con Brooks Carretta in sala cotta, la rosticceria, il pesce di Nando Fiorentini, la carne di Sergio Capaldo, l’enoteca con millecinquecento etichette e l’angolo del vino “libero” da concimi, diserbanti e solfiti, il ristorante Italia con lo chef bolognese Gianluca Esposito che offre venti piatti regionali a rotazione (unità della biodiversità) e ancora l’orto didattico per i più piccini insieme ad altre storie da imparare per crescere diventando “mangiatori consapevoli” e l’agenzia turistica Eatinerari che offre viaggi e soggiorni tematici.

Nel rispetto del cibo organoletticamente buono, ecologicamente pulito e sostenibile e socialmente giusto, secondo l’impostazione filosofica di Slow Food, Eataly propone il top delle produzioni artigianali a prezzi per quanto possibile avvicinabili, riducendo all’osso la catena distributiva. Tante buone proposte e intenzioni, ce la farà a reggere alle sollecitazioni, alle pressioni di questo mondo complicato? Quali saranno i compromessi? Forse qualcosa spetta anche a noi consumatori, alla nostra capacità di crescere e orientare il mercato secondo leggi più armoniose.

In Birreria per conoscere Urma e le altre

Mettete insieme il genio e l’esperienza di tre birrai famosi in quasi tutto il mondo, Leonardo Di Vincenzo (Birra del Borgo, Rieti), Teo Musso (Baladin, Cuneo) e l’americano Sam Calagione (Dogfish Head, Milton Delaware) lasciate un po’ a fermentare e verrà fuori la Birreria del secolo… Così è avvenuto nella sede Eataly di New York e Farinetti ha giustamente replicato la collaborazione a Roma. Qui, La Birreria, situata al primo piano dell’edificio, offre una sala mescita con bancone e tavoli, disposti lungo un’ampia vetrata che collega a tutta “la piazza” pur creando una certa intimità. La proposta è una vasta selezione di birre di qualità italiane e straniere, disponibili alla spina, circa dieci, con l’aggiunta di tre alla pompa, più un interessante numero di etichette in bottiglia. Sempre presenti diverse birre dei mastri birrai fondatori.

Accanto alla mescita c’è la sala cotta, a vista, dove Brooks Carretta con diversi aiuti, tra cui il promettente Patrizio Moreschini, brassa: Urma, Tina e la Birreria Golden Ale, più altre interessanti in turnazione. Il beershop è ben fornito con occhio particolare alla produzione Abi Lazio (tra cui Birra del Borgo, Birradamare, Free Lions, Itineris, Mister Malto, Turbacci, Turan e Atlas Coelestis), alla “diffusione” Open Baladin che oltre alle birre del maestro porta con sé una nutrita scelta di birrifici italiani e alla distribuzione Interbrau, con una gamma di prodotti stranieri di qualità. Aggiungiamo Forst, di cui abbiamo parlato e Pedavena, un birrificio con una lunga storia da raccontare, e altre… Anche qui tutto è in continua evoluzione.

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La birra rende più contenti

Leo e Teo sono presenti in Birreria per incontri speciali, feste, corsi o lezioni; Calagione capita di tanto in tanto, dunque la quotidianità è nelle mani del simpaticissimo, sorridente Brooks Carretta. Trenta anni, nato a Little Rock in Arkansas, cresciuto in Italia, dove a circa vent’anni diventa homebrewer per passione, ama le birre belghe e anche quelle americane ma viene trascinato dal contagioso rinascimento birrario italiano: “La birra, comunque, rende più contenti”, dice. Un po’ di anni fa comincia a fare sul serio, frequentando e studiando al Cerb di Perugia (Centro di eccellenza per la ricerca sulla birra) e partecipando a uno stage di Birra del Borgo.

Quindi la grande esperienza con i tre maestri a New York per poi arrivare qui, dove oltre alla produzione delle spine fisse si lancia in sperimentazioni con Leonardo, come con il “progetto vespa”, un lavoro sulla birra che parte dalla scoperta che vespe e calabroni sono portatori di microrganismi responsabili della fermentazione della birra, del vino e del pane. Con l’aiuto del professor Duccio Cavalieri (gruppo di ricerca della Fondazione Edmund Mach di San Michele all’Adige) che ha fornito i lieviti recuperati dall’apparato digerente delle vespe, nasce a gennaio Maia, una birra, piacevolmente secca, a base di malto, miele e mosto di malvasia. L’impianto di produzione della Birreria dietro alle grandi vetrate è da cinquecento litri, si fanno due cotte ogni dieci giorni, con materie prime di eccellenza, su ricette dei maestri che Brooks, può rivisitare. Il progetto iniziale prevede anche una sorta di laboratorio da cui escano prodotti one shot magari con produttori diversi. Per la cronaca, le birre della Birreria vengono vendute solo nei locali interni.

Corsi e iniziative ritmano il discorso birrario, come la recente Festa delle Birre, i primi di marzo, in onore delle birre artigianali. Ventuno birrifici e oltre cento birre alla spina in degustazione. I più grandi e le nuove leve. Qualche nome? Birradamare con le sue inconfondibili ‘Na Birretta e Shock, Turbacci con la luppolata con amore Hopfull, l’ottimo Turan con la Neos, Baladin con Pepper, all’apice della seduzione, Karma con la sua partenopea nell’anima Lemon Ale, Birrificio del Borgo con un’ironica sirena, Perle ai Porci… brassata con ostriche intere Fin Claire n. 2, provenienti della costa bretone (Oyster Stout vi dice niente?) tostata, sapida, minerale, rotonda, morbida e piena, una prova d’artista che si fa bere volentieri.

“Birreria” nel boccale

Golden Ale
4,5% vol
Fa parte delle spine fisse questa Golden Ale, tra le più gettonate nei ristoranti Eataly. È un’ambrata chiara con un bel cappello di spuma bianco. Naso fresco e vegetale con note agrumate, erbacee e dolci di malto. Bocca beverina, ma consistente, equilibrata, secca, pulita e amaricante nel finale grazie all’apporto di tre luppoli americani. Una birra facile per tutte le ore che può accompagnare bene il pasto.

Urma
6,4% vol
Il nome di questa seconda spina, quasi sempre in produzione, gioca con quello di Uma Thurman. Birra ambrata carica, speziata, piena di personalità, una ipa piacevole senza estremizzazioni, comunque complessa al naso, dove troviamo sensazioni balsamiche, erbacee e speziate. Spiccano le note di genziana, mirto, liquirizia e pepe, anzi pepi (in realtà tre, giamaicano, verde e rosa) con nuance di coriandolo e scorza d’arancia. Bocca inizialmente dolce di malto, piena e morbida, con finale amaricante elegante e non invadente, secca e pulita. Una birra intensa e raffinata che accompagna cibi e sensazioni diversi rispetto alla Golden Ale.

Tina
4,3% vol
In onore di Tina Turner questa dark mild, scura appena più delicata di una porter, che interpreta uno stile un po’ dimenticato, un po’ di nicchia, regala sentori di malti tostati che ricordano caffè, nocciola e polvere di cacao. Beverina in pieno stile Birreria, riesce comunque a carezzare il palato lasciando sensazioni nette e pulite e una bocca pronta a un nuovo assaggio. Ideale da sola o per accompagnare formaggi semi-stagionati.

di Henry Ross

info su www.roma.eataly.it