L'azienda – Tenuta I Fauri: storia di vino, musica e passione

L'azienda – Tenuta I Fauri: storia di vino, musica e passione
 
Domenico, Tiziana, Valentina e Luigi Di Camillo, padre, madre, figlia e figlio, sono i protagonisti della nostra storia vitivinicola strettamente legata alla provincia di Chieti, un territorio che ha scoperto la sua vocazione per vite e olivo in epoca romana. Lo palesano i panorami delle sue colline tra Adriatico e Maiella, dove la viticoltura supera il 10% di tutta la superficie provinciale. Ci accoglie Valentina Di Camillo, immagine solare dell’azienda, nella tenuta di Villamagna, costituita da un’antica casa in pietra con i solai sostenuti da travi in legno, dove è nato il nonno di Valentina; la casa confina con un vigneto in pendenza di quattro ettari: “Abbiamo trentacinque ettari di vigna dislocati in sei comuni differenti – racconta Valentina -, tutte piccole proprietà contadine che provengono da nonni e avi, riacquistate negli anni da papà (Domenico, ndr); sono a una distanza massima di un quarto d’ora di macchina. A Francavilla il più grande di dieci ettari”. I Di Camillo hanno focalizzato sui vitigni di territorio, montepulciano, trebbiano, passerina e pecorino, con piccole quantità di chardonnay, usato nello spumante, e di altri vitigni rossi venduti nello sfuso. Scopriamo l’azienda partendo da questa vigna perché qui nasce il nuovo nome e quindi il nuovo corso: “Azienda agricola Domenico Di Camillo – riprende – era il nome all’origine, ma c’erano omonimie. Il nome Tenuta I Fauri come idea nasce proprio in questa vigna perché facendo quindici anni fa gli scavi per il reimpianto furono rinvenuti i resti di un monastero paleocristiano di epoca romana: il particolare del frontone rappresenta due leoni che affrontano l’ariete, simbolo di resurrezione”, immagine che fa parte del logo aziendale. “Inoltre una lapide parlava dei frati che fondarono e vissero nel monastero ed erano detti fauri”. Tutta la provincia ha risorse archeologiche, Villamagna in particolare fu fondata dai romani e la zona è ricca di resti anche di epoche precedenti, quando era popolata dai Maruccini. Non solo, la sua tradizione vitivinicola ha oltre duemila anni, ne è testimone il ritrovamento di doli (vasi vinari romani di grandi dimensioni) anche da parte dei Di Camillo. Il cambio di nome è solo un piccolo aspetto della trasformazione aziendale che in realtà è stata lenta; Domenico infatti si è sempre dedicato con tutto se stesso alle vigne e al vino e dopo alcune esperienze negative, quando i pagamenti di grandi partite non arrivarono, decise di cominciare a proporre la vendita diretta, vista la tradizione di consumo nella zona: “Cominciarono facendo un negozio di vendita diretta gestito da mia madre (Tiziana, ndr), che tutt’ora se ne occupa – conferma Valentina -. Era un modo per ridurre i rischi. Papà cominciò a imbottigliare anni dopo, all’inizio del Duemila”.
L'azienda – Tenuta I Fauri: storia di vino, musica e passione
Valentina e Luigi in quel periodo non erano ancora entrati in scena perché non erano stati allevati per fare gli agricoltori, anche Tiziana, la mamma, non fu subito coinvolta nell’azienda agricola, ma poi fu naturale. “Noi dovevamo trovare una collocazione tranquilla, meno rischiosa possibile e io scelsi di fare chimica farmaceutica e in parallelo ero anche impegnata col conservatorio a Pescara perché in famiglia si canta, si suona e si balla da sempre e fu una scelta spontanea. Feci anche l’esame di stato da farmacista. Insomma, un mio ingresso in azienda non era previsto, non c’era spazio per un’altra risorsa. Feci molti colloqui e dovevo andare a fare controllo di qualità in laboratorio nel basso Lazio in un’industria farmaceutica. All’ultimo momento scelsi di restare, suscitando grande preoccupazione in mia madre”, con un grande sorriso Valentina racconta. Di tre anni più giovane,  Luigi scelse l’università di enologia e viticoltura a Perugia, stupendo tutta la famiglia che non pensava fosse portato per questo lavoro; dopo aver fatto esperienza negli atenei di Conegliano, San Michele all’Adige e Verona tornò a casa nel 2006. “Luigi ha sempre avuto le idee chiare nella vita e infatti fece anche il conservatorio scegliendo come me il pianoforte nonostante tutti lo spingessero per questo a studiare un altro strumento. Io dopo la laurea scelsi di fare la triennale di enologia a Teramo, sollecitata dalla voglia di restare in azienda”. Al rientro di Luigi, Domenico consegna letteralmente al figlio le chiavi della cantina, mettendogli sulle spalle in un attimo un carico di ben quattromila ettolitri di vino, scegliendo per sé la vigna e l’uva. “In quel periodo – riprende il racconto Valentina – anche io finivo il mio corso di enologia e con me il passaggio fu più sottile; papà disse che avevamo bisogno di qualcuno che vendesse il vino e facesse un po’ di comunicazione. Trovata dopo qualche mese la persona adatta, al momento di chiudere mio padre disse che me ne dovevo occupare io, non aveva senso investire un esterno, peraltro era tutto da inventare perché papà non si era mai occupato veramente dell’aspetto commerciale”. Oggi la campagna è gestita da Domenico, la cantina è totalmente nelle mani di Luigi, i contatti col mondo esterno sono di Valentina. Insomma ruoli definiti senza sovrapposizioni. L’attività di vendita in sostanza riparte con questo nuovo schema aziendale perché i legami precedenti erano con commercianti che volevano masse a prezzi bassissimi. “Le bottiglie erano poche e dovevo iniziare da zero; subito seguii la semplice idea di andare in giro per il mondo per fiere, ma le prime furono grandi delusioni; non mi ero mai immaginata in questi panni prima di arrivarci, pensavo di non essere adatta, perché timida e forse impacciata mentre oggi ho capito che la mia famiglia mi ha insegnato a stare in mezzo agli altri e amo svolgere questa attività”, con una tendenza più che naturale aggiungiamo.
L'azienda – Tenuta I Fauri: storia di vino, musica e passione
I VINI
Andiamo ad Ari dove c’è la cantina per la vinificazione dei rossi in cemento e Valentina racconta: “È un luogo che viene chiamato da tutti col soprannome dato tanto tempo fa alla famiglia, Baldovino; in realtà un nostro avo aveva questo nome e probabilmente da lì nasce il soprannome legato ovviamente alla familiarità dei Di Camillo col vino”, afferma ridendo. Qui vivevano i nonni e qui nasce Domenico; poi la famiglia si è spostata a Chieti, dove c’è  il punto vendita e la cantina dei bianchi, “ma abbiamo in progetto di tornare, di portare tutta la vinificazione e l’imbottigliamento ampliando questa cantina; ho anche il progetto di trasformare la casa dei nonni in un struttura ricettiva, dotata anche di quattro stanze”. È il momento di parlare dei vini e del loro stile. I fratelli Di Camillo hanno ruoli ben distinti ma c’è grande confronto, ciascuno porta a casa la proprie esperienze e se ne fa una sintesi comune. “Io – afferma Valentina – non entro nel merito tecnico di come fare i vini e posso dire che, da essere molto accademico, oggi Luigi sta prendendo rischi maggiori lasciando percorrere al vino la sua strada”. Rispetto ad assaggi fatti negli anni passati, una forma di nobile rusticità caratterizza i vini alla degustazione, dove il ricordo dell’uva è veramente vivo. “Per esempio – riprende -, quest’anno Luigi ha vinificato il trebbiano in cemento senza controllo di temperature, aiutato da un clima già piuttosto fresco durante la fermentazione”. Attualmente quindi i metodi di vinificazione dei bianchi prevedono l’acciaio termo controllato per pecorino e passerina e il cemento per il trebbiano perché “è un’idea per dargli la dignità che merita essendo una grande uva che dà vini di forte carattere: l’obiettivo è di non depauperarlo subito, di farlo correre da solo e il cemento lo consente, porta a tirarne fuori il carattere”. Tre vini molto invitanti che escono nella primavera successiva alla vendemmia. “Nei progetti attuali – spiega – c’è quello di fare un bianco superiore da commercializzare dopo un affinamento più lungo, il 2016 non è stata l’annata giusta. Vorrei fare un discorso diverso anche sul pecorino, un’uva nobilissima che dà vini molto interessanti, vorrei averne uno immediato e un altro da vendere dopo un affinamento più lungo per dargli la possibilità di esprimere tutto il suo potenziale. Il pecorino ha una personalità così spiccata che è da controllare e a mio avviso non vale la pena aggiungere sovrastrutture enologiche come la maturazione in legno”. I rossi, tutti Montepulciano d’Abruzzo, sono fatti in cemento: quello della linea Baldovino gode di una macerazione meno lunga di Ottobre Rosso per esempio, che arriva a due settimane, per essere più immediato e bevibile. “Ottobre Rosso ha riacceso i riflettori su di noi perché si rifà solo all’uva togliendo la barrique che è stata aggiunta da tutti, quindi in controtendenza. Viene conservato in cemento vetrificato fino all’imbottigliamento e la sua permeabilità all’aria insieme all’isolamento elettrostatico lo mantengono in una condizione di benessere e tranquillità; va in bottiglia in primavera. Oggi conta quasi quarantamila bottiglie. La Riserva matura in tonneau da cento quintali per un anno e mezzo ed è fatta da un vigneto di Bucchianico con lo stesso procedimento di Ottobre Rosso. Una riserva che esce solo quando la vendemmia è stata all’altezza; di questa decade abbiamo saltato tutte le annate pari”. Le uve montepulciano rappresentano oggi poco più del 50% del totale aziendale, ma sono in corso nuovi impianti che porteranno in parità bacca nera e bacca bianca. “Pecorino e passerina sono stati introdotti nello scorso decennio, prima non erano nelle vigne di papà. Non siamo andati oltre perché è giusto recuperare i vitigni antichi, ma solo quelli buoni”, afferma decisa. Nella gamma c’è anche una bollicina di bella personalità, presente da qualche anno sulla nostra guida Sparkle. “Lo spumante da pecorino e chardonnay – riprende -, arriva con mio fratello che se lo è portato da Conegliano. Abbiamo pensato di unire queste uve perché sono affini come importanza; il pecorino da solo sarebbe troppo irruente anche in termini di alcolicità. Le prime esperienze di spumantizzazione sono state fatte da Luigi insieme a un suo collega e amico fraterno, un produttore di Conegliano Valdobbiadene; lo fecero a quattro mani, spumantizzando nella sua azienda il nostro vino trasportato. Due anni fa abbiamo comprato due autoclavi per proseguire a fare lo Charmat in casa; Luigi sta facendo in parallelo prove col metodo classico e quando si sentirà pronto usciremo forse anche con uno spumante rifermentato in bottiglia. Era importante per noi, un’azienda familiare, portare la spumantizzazione in cantina per conservare il messaggio del processo dalla vigna al bicchiere tutto in casa”. Ovviamente i Di Camillo propongono anche un ottimo Cerasuolo d’Abruzzo, per una gamma che in totale conta circa duecentomila bottiglie annue. “Potremmo farne più di cinquecentomila – Valentina afferma -, ma preferiamo alimentare la vendita diretta nel nostro negozio”, attività importante gestita da Tiziana, la mamma. “Qui c’è una tradizione fortissima di consumo quotidiano e i clienti non vogliono la bottiglia. La mia idea è quella di restare su questo numero di bottiglie, magari poco in più; è la dimensione in cui mi ritrovo. Crescere invece in marginalità ovvero in importanza dei vini, ma conservando lo stile. Vorrei infatti che riuscissimo a mantenere questo assetto di azienda familiare; la tranquillità di pranzare insieme e di comunicare e confrontarsi tra noi quattro. Questi numeri lo consentono. Abbiamo la potenzialità di crescere nella qualità e nel posizionamento”. In quest’ottica, sollecitiamo Valentina a riprendere il discorso sul bianco importante “Sul grande bianco – riprende – c’è stato un tentativo iniziato da mio padre di un Trebbiano in barrique che poi abbiamo interrotto perché non ci ritrovavamo. Vogliamo ripartire non basandoci sulla barrique; un vino di struttura importante, certamente in cemento e di lungo affinamento, e se dovessimo usare legno sarà grande. Vogliamo rigiocare la partita con un grande Trebbiano d’Abruzzo di lunga gittata”.
Di Francesco D’Agostino