Profili DiVini Gravello Librandi

La scoperta del terroir
Per tutti gli appassionati con più di qualche anno di “militanza” nel mondo del vino italiano, il nome evoca suggestioni ancestrali. La vocazione della Magna Grecia alla vitivinicoltura è persino riportata nei libri di scuola, avari a raccontare le meraviglie culturali enogastronomiche del Paese. Per chi non lo ricordasse, i Greci chiamavano Enotria quel pezzo d’Italia, ovvero terra da vino. Ma la storia recente, quella del dopoguerra ci parla di un Meridione molto arretrato nello sviluppo vitivinicolo, fermo su produzioni rustiche e di quantità. Il primo merito di Librandi è quello di aver cominciato a imbottigliare i vini della propria terra, Cirò, a inizio anni Settanta, quando nel Meridione le aziende che vendevano vino in bottiglia erano poche unità. Negli anni Ottanta le cose stavano cambiando in modo deciso e lo scandalo del metanolo del 1986 catalizzò lo sviluppo. Librandi aveva acquisito una nuova azienda agricola nel comune di Stronogoli, fuori della denominazione Cirò, per piantare vitigni internazionali, quando ancora non erano diventati di moda. In quegli anni un altro mito della enologia italiana entra nella storia, Severino Garofano, l’enologo irpino recentemente scomparso, che ha avuto non pochi meriti nella rinascita del vino nell’Italia meridionale. Il Gravello è figlio della voglia di mostrare al mondo i livelli di qualità e carattere raggiungibili al Sud, in quella che era la patria del vino. Si scelse di realizzare un vino frutto del blend di uve del territorio, gaglioppo, con quelle internazionali più rinomate, il cabernet sauvignon. Nicodemo Librandi, patron dell’azienda, fu un vero visionario nel voler usare nel taglio quell’uva francese che aveva fruito di secoli di esperienza e selezione, quello che ancora non era stato fatto sul suo gaglioppo. L’uscita del Gravello fece rumore e in due-tre annate il mito era stato creato tra gli addetti ai lavori e nel pubblico dei veri appassionati, attirati da quel grande vino che finalmente rinnovava l’eredità dei luoghi, la loro forza espressiva. Gli anni Novanta si susseguono con una serie di successi per il Gravello che portarono Nicodemo Librandi a un’ulteriore riflessioni, sempre in anticipo sugli altri: bisognava fare ricerca sui vitigni tradizionali, conoscerli a fondo, scoprirne gli individui migliori, definire dei cloni di alta qualità. L’azienda si dedica anima e corpo a questa avventura con risultati entusiasmanti. Il viaggio del Gravello continua, con le stesse uve, ma è chiaro per tutti, è il territorio a parlare. (F.D’A.)
GRAVELLO 2015
VAL DI NETO IGT
14% vol – € 17,50
Uve: gaglioppo 60%, cabernet sauvignon 40%
prodotte: 60.000
www.librandi.it
Eleganza e complessità di un rosso importante che non si smette di bere. Di un bel rubino con nuance granate, al naso è fine, fuso, articolato, fresco e dolce di ciliegia, prugna, visciola, lampone che dialogano con rosa e viola, sfumati subito da toni golosi di gianduia. E ancora mela anche in pasticceria, arancia bionda e rossa sfumate dalla speziatura di anice, vaniglia, cannella, noce moscata, radice di liquirizia, con richiami di confetti alla cannella, tutti percorsi da respiri balsamici di menta e da toni di tabacco, fino a sentori golosi di sacher torte. Bocca bilanciata, dinamica, elegante, dal tannino fine, per un insieme di bella struttura, progressivo, senza spigoli che sollecita sul palato la complessità del naso in una veste più scura e da scoprire. Rapporto qualità prezzo entusiasmante. Godetelo con un piccione alle amarene.